Ad Auschwitz si va sempre e solo a sinistra. Non c’è una volta, in oltre tre ore di visita, che Beata e poi un lunghissimo cognome polacco, guida in lingua italiana del museo del campo di sterminio nazista, dirà di andare a destra. Anzi, una volta lo dirà, cioè alla fine della visita, quando ci porterà ai resti dei forni crematori di Birkenau o se preferite Auschwitz II. D’altra parte andava così anche nella realtà del campo di sterminio. Appena scesi dai treni merce c’era la prima selezione: se il medico SS indicava a destra era la camera a gas per i più deboli, a sinistra la morte più lenta nelle baracche. “Qui sono state ammazzate un milione e trecento mila persone, di queste oltre un milione e cento erano ebrei”. Dice “ammazzate”, non un generico “sono morte”: “ammazzate”, punto. E guardandoti negli occhi snocciola i numeri: ebrei, polacchi, prigionieri sovietici, rom, intellettuali critici, partigiani, omosessuali. Ma poi puntualizza, per anticipare fraintendimenti: “ma pi...
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